VI RUBO TRE MINUTI….
Ho la fortuna di lavorare da tanti anni nel tennis agonistico, non lavoro con principianti o adulti da molti anni e la mia attività mi ha portato spesso in contesti internazionali giovanili o professionistici.
Non ho mai frequentato però ( almeno fino a quest’anno ) il circuito maggiore, quello dei giocatori che hanno realizzato i loro sogni, quelli che si vedono in televisione per intenderci.
La mia attività e le trasferte mi hanno fino ad ora portato a frequentare quella che calcisticamente potrebbe essere considerata la serie B ed in questo ambiente il senso di incompiutezza e di frustrazione aleggia quotidianamente tra campi, hotel e ristoranti dei vari tornei. Ho sentito spesso questi ragazzi utilizzare, per dare un nome al sentimento di insoddisfazione che provano verso il tennis, il concetto di fallimento, “ sono un fallito “.
Anche diversi allievi mi hanno fatto questo discorso, qualche hanno fa gli atleti del gruppo Full time della nostra Accademia avevano radunato i loro numeri di telefono in un gruppo Whatsapp denominato “ falliti apuani “. Recentemente anche l’allievo più vicino che ho ( proprio in senso di albero genealogico ) ha utilizzato il termine di fallito del tennis per descriversi e questo ha fatto riemergere il fastidio che provo nel sentire associare quel termine al nostro percorso suscitandomi questa riflessione.
Sarà perché sono figlio di un fallito, letteralmente, nel senso che l’attività di mio padre è fallita quando ero adolescente e sarà perché non ho mai visto come disdicevole quanto accaduto, anzi, il ricordo è di una persona che ha fatto di tutto per non fallire, si alzava alle cinque del mattino Domenica compresa e a cena si addormentava a tavola perché stravolto, sarà perché mi sono sempre immedesimato nella storia, nei film o nei libri con quelli che ce la mettono tutta ma alla fina perdono ma anche nel nostro sport non assocerei assolutamente il termine di fallito ad un’accezione negativa.
Ai miei occhi il fallito nel tennis è un atleta che ha mancato gli obbiettivi che si era prefissato pur avendo provato a realizzarli in tutti i modi, con mentalità di alto livello, con grande professionalità e determinazione. Probabilmente ha fallito per mancanza di talento o di opportunità o a causa di qualche errore commesso o per molte altre variabili che possono influenzare negativamente una carriera agonistica. Visto così il fallito è un atleta da stimare quanto e più di chi è riuscito perché pur avendo fatto tutto il percorso nel modo giusto come il campione non gode dei benefici del successo. Ai miei occhi chi non è riuscito ( ma dopo aver DAVVERO provato ) è una figura quasi romantica, da prendere ad esempio come autentico innamorato del nostro sport.
Il problema che nella mia attività di falliti ne ho conosciuti pochissimi, ma pochissimi che si contano sulle dita di una mano, ho conosciuto molti giocatori mancati che si definivano falliti ( spesso preventivamente per mettere le mani avanti ) senza però avere fatto di tutto ed averlo fatto con determinazione e professionalità affinché il fallimento non avvenisse. Conosco moltissimi giocatori che si sono ritenuti falliti durante tutto il loro percorso, fin da principio, mai neanche per mezza giornata hanno pensato davvero di lavorare quotidianamente con obbiettivi di medio periodo al fine di realizzare dopo anni l’obbiettivo finale, conosco giocatori che diventano artisti nel giustificare le proprie inadempienze, professionisti si ma della ricerca di alibi, questi atleti non si sono guadagnati il ( per me ) nobile status di falliti, io li definirei farlocchi del tennis. Conosco Farlocchi che continuano a giocare senza troppa convinzione anche in età avanzata tanto per rimandare l’annoso problema del cosa farò da grande. I Farlocchi spesso cambiano situazioni di allenamento alla ricerca dello stregone che li tocchi con la bacchetta magica e li trasformi in principi del tennis oppure all’interno della stessa struttura si avvalgono di moltissime professionalità e servizi ( nutrizionista, mental coach, customizzatore racchette etc. ) alla ricerca di qualcosa che pensano debba venire dal consulente ed invece sono loro a dover tirare fuori. E poi quando tocca loro far funzionare le cose “sciolgono le partite” o fanno le ore piccole il giorno prima del match o ritardano sistematicamente ad allenamento. I Farlocchi una volta raggiunto il loro status non si allenano più in maniera attiva con l’idea che tutto si può allenare e migliorare a qualsiasi età, si allenano per abitudine pensando che il miglioramento non sia più possibile, non per loro o che avvenga per induzione, che farli migliorare sia compito esclusivo dell’allenatore o della natura che doveva dotarli di più mezzi. I Farlocchi sono spesso delusi dal tennis, talvolta nauseati ma non fanno più nulla per innalzare il loro livello di competenze e di gioco, però non abbandonano il nostro sport perché perderebbero una serie di benefit ( non andare a scuola, non lavorare, l’ambiente nel quale hanno sempre vissuto ) ai quali ormai fanno fatica a rinunciare.
Il fallito passato un periodo congruo di tempo durante il quale non riesce a raggiungere i suoi obbiettivi prende atto del fallimento, lo elabora e ne trae insegnamenti per il suo futuro.
Il fallito del tennis sarà o potrà essere un ottimo maestro o comunque avrà introiettato un metodo di lavoro e la capacità di pianificare degli obbiettivi che lo porterà ad essere vincente in qualsiasi altra attività deciderà di intraprendere. Il farlocco odierà il tennis ma vi rimarrà lavorativamente legato per mancanza di alternative andando alla ricerca dell’impiego più comodo e meno faticoso.
Per questi e per molti altri motivi che non sono capace di spiegare scrivendo la mia ossessione quando lavoro con i ragazzi non è tanto che raggiungano o meno i loro obbiettivi ( o dei loro genitori ) ma la mentalità, il metodo, la determinazione e la serietà con cui li perseguono.
Nicolò